lunedì 4 luglio 2011

Assenti




e poi ti ritrovi a camminare per Redipuglia e pensi che sotto i tuoi piedi ci sono centomila soldati, morti per cosa? e pensi che alla fine la guerra, qualunque guerra, si riduce solo a un mucchio di cadaveri. alla fine quella scritta, presente, che si ripete all'infinito, suona piuttosto come una presa in giro, non come un omaggio, o cos'altro? loro avrebbero di certo preferito essere presenti alla vita, restare nelle loro case, nelle loro esistenze banali, nelle piccole soddisfazioni e nelle molte fatiche quotidiane, e invece sono diventati una sfilza di nomi sul fianco di una collina. sarebbe stato meglio essere stati assenti. (Guchi)


e ti ritrovi, a passare da Redipuglia e la vedi da lontano cos'è e ti metti a pensare, sì.
e lì vicino, dopo poca strada le foibe, altri pensieri, sì.
in un caso è il cemento a inghiottire i presenti, nell'altro ci ha pensato la natura, e i luoghi rimangono intrisi di storie mescolate e diverse unite solo nel non luogo che ospita i resti.
uno dei viaggi più brutti che ricordo è stato passare da Redipuglia verso la Croazia.
mi è venuta addosso una cosa pesante che non volevo stare in quei posti.
gli ossari li evito, trattengono memorie e suoni dell'inferno in cui la carne che li ricopriva ha vissuto e in cui probabilmente continua ad abitare. (teti900)





Mio padre aveva fatto quattro anni di trincea, dormivano in mezzo ai morti per non farsi trovare dal nemico, oppure in trincea, quando non c’era l’acqua; da mangiare avevano del pane duro che si chiamava galletta. Mi raccontò di quando li decimavano, ne prendevano dieci a sorte, li mettevano in fila e poi li fucilavano; e poi mi raccontò che qualcuno si sparava una fucilata a un braccio o a una gamba per farsi ricoverare in ospedale; e mi raccontò di quando c’è stata la battaglia del Tagliamento, sono andati all’arma bianca, cioè si sono scannati. Di trentasette che erano partiti per il fronte, da Fellegara, era tornato solo lui. Aveva visto girare le mosche da un cadavere all’altro, e le lucertole e gli scarafaggi che passavano da un cranio all’altro. Era rimasto ossessionato e quando era tornato a casa non poteva vedere le mosche; ma le case dei contadini allora erano piene di mosche che cadevano anche nel piatto; si prendevano dal piatto e si continuava a mangiare come niente fosse; ma lui era ossessionato, si ricordava delle mosche dei cadaveri, e non mangiava, andava fuori.
Quando è stato al fronte, ha trovato una donna che aveva una tabaccheria; è stato al fronte per tre anni e non ha saputo più niente di casa sua, perché non arrivava mai la posta e lui era anche analfabeta. Era una gran fortuna in quei tempi avere una tabaccheria, e lui, finita la guerra, disse a quella donna che sarebbe andato a Fellegara a salutare i genitori, e poi sarebbe tornato da lei. Penso che avesse avuto da quella donna anche un figlio, ma non sono sicura. Quando è tornato a casa ha trovato che i genitori, Domenico Vacondio e Scalabrini Virginia erano già morti da un pezzo e, stando al fronte, non sapeva che erano morti tutti e due a cinquantun anni. A casa c’erano rimasti i cinque fratelli più piccoli, pieni di miseria e non se l’è sentita di abbandonare i suoi fratelli più piccoli. Fece allora la scelta di rimanere e non ha potuto nemmeno avvisare quella donna della tabaccheria perché non sapeva né leggere né scrivere e non c’erano le comunicazioni che ci sono adesso. Ma quella donna, stanca di aspettare, ci ha trovato il verso ed è venuta a Fellegara, e vedendo la situazione e saputo il perché non era tornato, se ne andò e non si fece più vedere.
Dopo si è sposato con Rossi Edmea, mia madre; sarà stato il venti. Però penso che quella donna non l’abbia più dimenticata. Mio padre dopo la guerra aveva dei debiti dappertutto, mi diceva che doveva arrivargli una polizza, che era il compenso per chi era stato in guerra, e che quando gli sarebbe arrivata avrebbe pagato il mugnaio e tutti gli altri, ma credo che la polizza non sia mai arrivata. Nella mia famiglia c’era una miseria nera, eravamo oltre a mio padre e a mia madre tre sorelle e un fratello, ma loro non ricordano niente, non badavano a quello che il papà gli raccontava della guerra.Era un gran lavoratore, mezzadro prima a Fellegara, poi a Sabbione e a Pratissolo e credo che non abbia mai visto il mare.
Quando si ammalò di un tumore disse:
Voglio andare a vedere dove ho combattuto sul Tagliamento, dove ci siamo scannati.
Eravamo nel 1963 e si cominciava ad avere le prime macchine. Gli abbiamo detto:Adesso ti portiamo.
Non è più guarito, è morto nel ’67, non ha fatto in tempo. Io allora mi sono detta:
Voglio andare io a vedere dove ha combattuto mio padre, mi sembra di vedere con i suoi occhi. Mi ha portato là mio cognato Boni Franco con una 126. Credevo di trovare chissà che cosa. Andavo in cerca del Tagliamento e vidi un contadino che vendemmiava e gli dissi:
Senta, mi potrebbe dire dov’è il Tagliamento, dov’è avvenuta quella battaglia che si sono scannati? Mi ha detto:
È là.
Credevo di trovare chissà che cosa. Non c’erano più i segni della guerra. Il terreno era coltivato a vigna; l’ho davanti agli occhi quel Tagliamento, un fiume più piccolo del Tresinaro; si può chiamare un fosso più che un fiume. Mi ricordo che c’era un cimitero di marmo bianco con su scritto: Cimitero della gioventù.
Quando io ero piccola veniva il prete a prendere l’arquest, cioè veniva col campanaro a prendere un po’ di uva e un po’ di grano a sostegno della chiesa; i soldi non c’erano e ci davano questo compenso che chiamavano l’arquest. Mio padre si è messo a chiacchierare con questo parroco e gli disse:
Io ho fatto tre anni di guerra, ho sentito giovani morire pieni di sofferenza, chiamare mamma e babbo, chiamare aiuto da tutti, anche da Gesù Cristo: io speravo tanto che si facesse vedere, non si è fatto né vedere né sentire.

Questa cosa l'ha letta Paolo Nori a Custoza sabato ad un non so che cosa ed è un pezzetto della vita di Emilde Vacondio, nata nel 1927 a Fellegara di Scandiano, ed è il pezzo dove Emilde Vacondio racconta le vicende che capitarono a suo padre prima ancora che lei nascesse, nel corso della guerra del ’15 ’18. (Simurgh)

10 commenti:

  1. ...bello.
    E non ho voglia di aggiungere altro...qualsiasi parola stonerebbe con l'atmosfera che si crea leggendo il post.

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  2. Credo che visiterò un cimitero come quello o il più famoso che si trova in NOrmandia (di cui ora mi sugge il nome). Hai ragione, tutto si riduce a una distesa di croci e cadaveri ma è anche per questo che dobbiamo tenere alta la guardia

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  3. PAOLA:

    grazie, anche a nome di Teti che torna nel tardo pomeriggio.

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  4. SIMURGH:

    molto interessante questa testimonianza che hai riportato. perchè io credo che nessuno riesca a immaginare come sia stato.

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  5. INNERES AUGE:

    sì, è bene visitarle quando si ha un minimo di discernimento certe cose. spesso ti ci portano da ragazzino in gita scolastica, e finisce come quella volta che a Dachau ho incrociato un gruppo di sedicenni sghignazzanti, che ti viene voglia di dar loro due schiaffoni, ma poi ti trattiene la consapevolezza che, alla loro età, avresti forse sghignazzato pure tu.

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  6. @ GUCHI
    grazie ancora.

    @ PAOLA
    una fucilata che a vederla in bozza non si sarebbe detto.

    @ SIMURGH
    hai fatto quello che intendevo quando dicevo da un argomento parte il post successivo, forse GUCHI è concorde nell'inserire il commento nel post?

    @ INNERES AUGE
    Omaha Beach?

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  7. perchè no, mi pare un giusto prosequio.

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  8. GUCHI
    in effetti, la domanda appariva anche a me retorica:))
    quindi? procedi tu o procedo io?

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  9. ...quante cose non so di mio nonno...e quanto poco parlo con mio padre di queste cose.
    Mi piace quello che hai scritto Simurgh.

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  10. PAOLA
    Mio nonno materno, mi diceva mia madre, della guerra a casa non ne ha mai parlato. Solo con un suo cugino. Erano case grandi, di campagna, dove vivevano piu famiglie. Allora qualche volta ne parlava conb suo cugino. Stavano là appartati, per conto loro sotto il portico e parlavano a bassa voce. Esperienze terribili e paure da cagotto, immagino. Non ne parlavano perchè volevano dimenticare. Son traumi che non sempre uno ce la fa ad uscirne indenne dentro. Una volta, che ero piccolo, siamo andati in gita sul monte grappa, dove mio nonno materno ha fatto la guerra, mentre l'altro l'ha fatta sul piave. Insomma siamo andati la in gita e c'era un gran silenzio, anche dopo tornando con la millecento, per strada.Come avessimo fatto una cosa da morti, che ci vuol rispetto e lui ci mostrava le gallerie dentro la montagna, dove avevano scavato, dove erano avvenuti gli assalti all'arma bianca, dove erano morti dei suoi amici. Ma, quello che piu di tutto volevo dire è che noi siamo gli ultimi, gli ultimi che hanno sentito le loro parole, che hanno visto i loro volti, uomini che han fatto la grande guerra. Poi tutto sarà dimenticato ma noi siamo gli ultimi. Per me questa è una cosa forte che sento. Un discorso che vorrei continuare ma boh, anche no. Insomma cosi, paola. Ora esco

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