martedì 5 luglio 2011

IDROMELE, NETTARE DEGLI DEI


La sacralità dell'ape quale animale messaggero del cielo, che trasforma il sole in miele, e l'acqua vista come la linfa vitale che scorre nelle vene della madre terra rendono l’Idromele sacro presso i Celti, come essenza del divino nell’unione fra cielo e terra. Nella mitologia indoeuropea l’Idromele è la bevanda tipica dell’aldilà, nel mondo celtico come in quello germanico.
Nell’Europa celtica era bevuto dai Druidi e dalle tribù nelle cerimonie sacre che scandivano il ritmo delle stagioni. Si consumava nelle feste di Samonios, capodanno celtico, ad Imbolc, festa di fine inverno e rinascita della natura, a Beltane festa propiziatoria di fertilità durante la quale venivano celebrati i matrimoni, a Lugnasad, festa di ringraziamento per i doni della stagione agricola, ed infine agli equinozi di autunno e primavera e nei solstizi d'estate e d'inverno. L'uso era finalizzato ad ottenere l'ebbrezza alcolica per potersi avvicinare al divino fino ad incontrarlo.

In molte tombe principesche sono stati trovati recipienti con resti d’Idromele quale riserva del defunto per l'aldilà celtico. Nella tomba del principe di Hochdorf, nel Baden-Wurttemberg (VI° sec. a.C.), associato ad uno straordinario corredo funerario, vi era un calderone in bronzo della capienza di 500 litri riempito per tre quarti d’Idromele.

L'uso dell’Idromele è rimasto diffuso fino a tutto il medioevo, soprattutto durante i matrimoni, dove nel mese lunare successivo alla cerimonia, veniva consumato nella convinzione che potesse dare forza alla coppia nella procreazione. Per questo motivo ancora oggi si usa definire il primo periodo dopo il matrimonio "Luna di miele".
L’Idromele viene descritto nell’epica indoeuropea come spumeggiante, e il rinvenimento negli scavi archeologici di corni potori e bicchieri alti e stretti, sembra confermare questo dato, poiché questi recipienti ben si adattano alla conservazione dell’effervescenza.
Abbinamenti gastronomici
Su come berlo e a quali cibi accompagnarlo ognuno può sbizzarrirsi con la propria creatività. Sulla base della mia esperienza vi consiglio di servirlo sempre fresco (10° – 12°), per un brindisi fra amici, con della pasticceria secca, come aperitivo, o nel dopo pasto con i dolci proprio come per i vini bianchi dolci, fermi o spumanti. Può essere inoltre paragonato data la gradevole dolcezza e il retrogusto mielato ad un vino da meditazione.
Ben si accompagna ai nostri formaggi di montagna o ad una fetta di pecorino stagionato o di gorgonzola, cosparsi di noci tritate e di miele di castagno tiepido, o a delle fettine di lardo con miele millefiori.
Ottimo è anche come rimedio contro il raffreddore se riscaldato con l’aggiunta di chiodi di garofano ad ottenere una specie di vin brulè.
Ma di che sa?
Ha un aroma molto particolare di cera che si intensifica con l'invecchiamento. Può essere più o meno dolce a seconda dell'età, del tipo di lievito e di tanti altri fattori pressoché incontrollabili, non ultime le fasi lunari!.

BY FOSCA BARBERINI


3 commenti:

  1. la bevanda che si addice ai poeti___ in effetti è un po' magico;)

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  2. si,anche se io non l'ho mai assaggiato..colmerò questa lacuna..;)

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  3. Escher poi… al divino era vicinissimo!

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