alzandosi da letto come un automa del tutto simile al protagonista del sogno in cui gli sembrava ancora di vivere, ma con il cervello appena un poco più sveglio e reattivo, la prima cosa che gli venne di fare fu un check up sulle sue condizioni fisiche dopo la serata precedente passata a folleggiare in compagnia di... tre, no, quattro più due bottiglie nascoste dietro al divano.
forse una o due sigarette avrebbero spento o attenuato l'effetto di quella insolita sbornia che, come la pioggia che incessante allagava i vasi sul terrazzo dal giorno prima, perdurava nel riproporgli la trama insensata che lo vedeva accusato di aver provocato il decesso di tutti i vicini e i passanti della via dove abitava.
ma il mistero più grande che avrebbe dovuto risolvere nel primo giorno di insediamento a capo dell'investigativa era capire dove fossero finiti i cadaveri e magari trovare una spiegazione al perché per ciascuno di essi fosse comparso un animale in qualche modo somigliante o assimilabile per colori e fattezze a ciascuno di loro così che le vie fossero comunque affollate, diciamo diversamente abitate.
siccome era sconsigliato uscire, l'indagine andava svolta entro i confini di casa e siccome viveva solo, l'unico interprete era lui stesso nella molteplice veste di accusato, accusatore, testimone a favore, esperto forense, giudice, investigatore, medico legale e criminologo, portavoce della questura e giornalista, donna delle pulizie e pure addetto alla macchina del caffè.
insomma il preludio di una giornata a far da badante a un mal di testa così ingombrante che faticò a farlo entrare nell'ascensore quando finalmente si decise se fosse meglio portare l'ombrello o indossare l'impermeabile e quale tasto pigiare sulla macchinetta erogatrice del ticket necessario a giustificare l'uscita alle ronde di controllo appese ai droni come i bambini al loro aquilone.
scoprì presto che la pioggia di maggio è troppo calda per reggere l'impermeabile che finì subito nella 24 ore da cui estrasse l'ombrello che una folata di vento gelido gli strappò immediatamente dalle mani inzuppandogli tutti gli abiti che aveva addosso fino alle mutande e facendogli serrare gli occhi così da perdere l'orientamento, sbandare fino a inciampare sul primo gradino del sottopasso della metro che raggiunse praticamente in un sol balzo nell'attimo esatto in cui il convoglio deserto ripartiva creando un vortice d'aria che gli sbattè sul volto un brandello di giornale di almeno tre mesi prima ponendolo di fronte a una sorta di specchio dove vedeva se stesso con i capelli quasi rasati invece che fluenti come quella mattina, sotto a un titolo a nove colonne che recitava: latitante l'artefice delle misteriose sparizioni nella sua strada e di quelle dove si è trovato a passare, con tanto di nome e cognome, età, professione e stato civile, si cercano i complici.
forse una o due sigarette avrebbero spento o attenuato l'effetto di quella insolita sbornia che, come la pioggia che incessante allagava i vasi sul terrazzo dal giorno prima, perdurava nel riproporgli la trama insensata che lo vedeva accusato di aver provocato il decesso di tutti i vicini e i passanti della via dove abitava.
ma il mistero più grande che avrebbe dovuto risolvere nel primo giorno di insediamento a capo dell'investigativa era capire dove fossero finiti i cadaveri e magari trovare una spiegazione al perché per ciascuno di essi fosse comparso un animale in qualche modo somigliante o assimilabile per colori e fattezze a ciascuno di loro così che le vie fossero comunque affollate, diciamo diversamente abitate.
siccome era sconsigliato uscire, l'indagine andava svolta entro i confini di casa e siccome viveva solo, l'unico interprete era lui stesso nella molteplice veste di accusato, accusatore, testimone a favore, esperto forense, giudice, investigatore, medico legale e criminologo, portavoce della questura e giornalista, donna delle pulizie e pure addetto alla macchina del caffè.
insomma il preludio di una giornata a far da badante a un mal di testa così ingombrante che faticò a farlo entrare nell'ascensore quando finalmente si decise se fosse meglio portare l'ombrello o indossare l'impermeabile e quale tasto pigiare sulla macchinetta erogatrice del ticket necessario a giustificare l'uscita alle ronde di controllo appese ai droni come i bambini al loro aquilone.
scoprì presto che la pioggia di maggio è troppo calda per reggere l'impermeabile che finì subito nella 24 ore da cui estrasse l'ombrello che una folata di vento gelido gli strappò immediatamente dalle mani inzuppandogli tutti gli abiti che aveva addosso fino alle mutande e facendogli serrare gli occhi così da perdere l'orientamento, sbandare fino a inciampare sul primo gradino del sottopasso della metro che raggiunse praticamente in un sol balzo nell'attimo esatto in cui il convoglio deserto ripartiva creando un vortice d'aria che gli sbattè sul volto un brandello di giornale di almeno tre mesi prima ponendolo di fronte a una sorta di specchio dove vedeva se stesso con i capelli quasi rasati invece che fluenti come quella mattina, sotto a un titolo a nove colonne che recitava: latitante l'artefice delle misteriose sparizioni nella sua strada e di quelle dove si è trovato a passare, con tanto di nome e cognome, età, professione e stato civile, si cercano i complici.
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