lunedì 15 giugno 2020

la rabbia



nelle ore rimanenti era la rabbia a tenerlo stretto in un abbraccio soffocante in cui implodere evitando di palesare al mondo estraneo al suo quello che si sentiva crescere e cambiare dentro.
aveva capito che le sedute erano un monologo tra lui prima e lui sconosciuto che pretendeva di governarlo comandandolo d'autorità senza averne diritto né capacità altro che aprire conflitti per ogni dove come non ci fosse un domani.
in questo Maciej lo aveva capito subito.
di rabbia e implosioni era un esperto, cioè lo era stato perché da tempo le aveva smaltite come i grassi superflui da cui si era spogliato come fa la cicala quando va in muta.
gli aveva raccontato della sua reazione ogni volta che gli veniva detto: 'mettiti nei miei panni' da persone molto più fortunate e ignoranti di lui che sapeva benissimo che a chi sta male è impossibile incarnare chi sta meglio e che gli unici panni che si possono scambiare sono quelli con chi sta peggio di te.
e durante i mesi delle loro corrispondenze, tra i due a stare peggio era Primo.
così era arrivato a restituirgli gli abiti che indossava prima di cadere nelle turbe psichiche in cui si dibatteva come un salmone appena sfuggito alle fauci dell'orso  nella risalita in controcorrente del fiume diretto all'oceano che dovrà ripercorrere per riprodursi.
Primo era incantato dalle metafore naturalistiche di Maciej.
diciamo che un'altra oretta ogni due settimane di rabbia perpetua se la scampava a leggere le sue email, guardare le foto, informarsi sui luoghi dove adesso abitava, ma di media ne restavano sempre altre settecentosedici al mese di puro furore, tanto da spaventarlo solo all'idea di sedarlo.
e dopo? come avrebbe fatto senza?
sarebbe dovuto tornare al lavoro, occuparsi di Angela, sollevare qualche incombenza a Martina che un po' si meritava il fastidio come espiazione di una colpa nota e al tempo stesso taciuta da entrambi.
lavorare a cosa? 
l'ultimo articolo l'aveva scritto a giugno dell'a.c. (anno covid) in un contesto di botte da orbi, dagli usa a hong kong, manifestazioni per ogni dove, incidenti stradali che di più improbabili era difficile trovarne, ospedali abitati da ex eroi (ripagati con un euro al giorno di indennizzo) ridiventati merde che tentano di mettere ordine nelle orde di malati cronici, oncologici, infartuati, eccetera, eccetera, che elemosinano una cura, un po' di attenzione, un posto in una lista d'attesa lunga più della quaresima, studenti che dopo aver perso la speranza di un lavoro stanno per perdere anche quella di tornare tra i banchi, le masse dei forconi arancioni e degli altri che fanno rima con coglioni a imperversare per ogni dove.
il tema: la giornata dell'ambiente.
fanculo.
al pronti via, subito subito un bello sversamento di gasolio in siberia (ma anche a sorrento, roma, brescia e siracusa mica si scherza) e un movimento franoso che si sta portando via un paese norvegese (ma anche la grandinata nelle zone dove il covid ha picchiato forte), roghi tossici, ditte che saltano in aria come se piovesse (ma da settembre sarà anche peggio) e l'amazzonia? beh, quella non ha mai smesso di bruciare.
li avrebbe mandati tutti al diavolo, avrebbe costruito l'inferno apposta per poterceli mandare oppure - pensava - 'ci vado io al diavolo, che faccio prima'.
dei nove sinonimi del termine li aveva sperimentati tutti compreso esacerbazione, nonostante la parola gli suscitasse una sorta di stordimento divertito quando la nominava per il piacere di vedere la faccia dell'interlocutore quando in risposta a un 'come stai?' riceveva un 'un po' esacerbato' invece del più appropriato: 'stanco e stufo' che di solito gli faceva trovare il simpatico di turno che replicava: 'sick and tired' mimando due note e le mosse della pop star dell'omonima canzone.
fanculo! stramaledetti, vi odio tutti.


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