giovedì 25 giugno 2020

da primo a ultimo



lo detestava, ma doveva ammetterlo.
dal giorno del suo cinquantunesimo compleanno gli veniva da ridere per qualsiasi cosa, soprattutto di se stesso.
premetteva a tutto che fosse stato il giorno in cui a nascere e a morire fosse stato un congiunto così stretto che in più di una serata avevano riso definendosi fratelli gemelli siamesi uniti da un destino infame, ma poi gli venivano in mente cose buffe e rideva tra il sé e i se.
i se che gli fluttuavano nella mente pensando a un futuro totalmente nelle sue mani capaci fino a quel giorno solo di digitare sui tasti, rollarsi una sigaretta e intarsiare e al sé ancora sperduto come gli amici di Peter Pan sull'isola che c'è, ma non c'è.
ridacchiava raccontandosi che da Primo era diventato Unico, da Primo Giusto a Unico Giusto o forse era Ultimo per via che la sua progenie era destinata a rimanere nel limbo? Ultimo Giusto.
giusto? ma cosa era giusto?
ridacchiava scuotendo il capo pensando alle date sbagliate sulla lapide, poi si ricordava che di sbagliato c'era che dentro ci fosse il fratello sbagliato e subito una fitta al cuore e il pensiero 'ok, ci siamo, un infarto' e immaginava di provare gli attimi finali del gemello mentre si sentiva trascinato con lui sottoterra dove miracolosamente schivare un bruco nell'attimo in cui diventa farfalla che apprende a volare girando intorno ai pochi che in quell'ora lo stavano seppellendo così da vedere i loro volti e interpretarne i pensieri.
aveva riso appena congedato il turista americano tornato a trovarli con la proposta di una mostra delle sculture di Primo e lui come un cretino illuminato da lampi di imbecillità (cit) gli aveva risposto che Primo era morto ma a realizzare le sculture erano entrambi ed era finita che la mostra l'avrebbe fatta lui solo.
sorriso spento come un tizzone infuocato buttato in un secchio pieno di ghiaccio non appena realizza che una volta in porto la sua faccia sarebbe comparsa quanto meno su un giornalucolo locale che il web avrebbe provveduto a diffondere per ogni dove, compreso nella questura di Genova dove avrebbe sicuramente trovato qualcuno che si sarebbe chiesto: 'ma se Salvo è morto nel bosco e Giusto d'infarto, sto tizio chi é?'
venne in soccorso un barlume di lucidità che finì appuntato su un pezzo di carta: 'aggiungere clausola di Bansky' tutto maiuscolo, sottolineato enne volte.
e ridevano anche in paese, dove mai nessuno era riuscito a distinguerli, quando diceva che a furia di parlare italiano aveva deciso di abbandonare il polacco senza capire un accidenti di quello che gli rispondevano percuotendogli le spalle con solenni manate e sputacchi di vino tra l'ilarità generale.
prendeva tempo, se lo concedeva perché sentiva di averne bisogno più del cibo e dell'aria e intanto studiava l'idioma locale perché dov'era gli sembrava l'unico posto in cui stare a vivere una vita invece di perderla.
ammesso che si sentisse di far emergere il gioco degli equivoci che aveva contribuito ad alimentare cosa avrebbe guadagnato altro che un'esistenza rinnegata da tempo per insoddisfazione, scontento, delusione, rancori, solitudine e dolori, lutti e abbandoni?
che senso avrebbe avuto tornare a quello che aveva lasciato in conseguenza all'aver compreso che in realtà era il lavoro, l'amore e il resto ad averlo ripudiato lasciandogli intendere di esser stato lui a lasciarli?
cervellotici pensieri che intendeva solo lui e lo guidavano in quei giorni di delirio etilico, sperduto in una casa somigliante a quella degli specchi dei luna park dove ogni superficie e oggetto gli rimandava un'immagine a metà perduta e per metà ritrovata di quel che stava decidendo di voler essere e che ancora conosceva appunto solo a metà.
una vaga idea l'aveva, 'tanto vale' - si diceva, nel senso: vale tanto -, 'diventare convintamente e a tutti gli effetti Maciej Zapisać'. 
Zapisać, salvo. 
a quel punto di nome e di fatto, l'unico a essersi salvato.
'finché morte vi ricongiunga' pensò tornando allegro come un ebete ignorante.
che poteva farci? gli aveva preso così.
una catarsi gaia.

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