a un anno di distanza poco importa cosa sia successo nel mondo e se vi sia ancora.
Primo sta pensando all'ultimo capitolo e lo scrive di getto, senza rileggere. nel suo anno sabbatico ha dipanato una matassa senza capo né coda, districando bandoli, riannodando fili strappati e riparando quelli ormai al limite dell'usura.
né scienziati, né statistici, né semplici cronisti o sceneggiatori avrebbero mai potuto immaginare la sequenza che li porta tutti nella periferia del parco nazionale Slowinski ad affondare i piedi nelle dune di sabbia della leggenda di Stolem il gigante.
un paesaggio insolito per quella latitudine in cui i boschi emanano fragori ossigenanti di pino mugo, faggi e abeti, dove si aprono viottoli lungo i quali sparute cascine nascondono agli occhi dei visitatori la vita tranquilla dei residenti che nella stagione turistica inforcano le ciabatte a dito e si trasformano da boscaioli a beduini carovanieri e bagnini di salvataggio.
trovare la casa nel bosco di Czolpino, dove per arrivare ci si doveva già essere stati o saper intuire il percorso osservando le tracce dell'ospite perché nessuna mappa avrebbe mai potuto indicare la direzione di una strada che non c'è, era dunque cosa ardua e per questo motivo avevano scelto di incontrasi nel parcheggio più prossimo al Museo Słowińskiego sul far della sera.
ancora disabituati agli abbracci per via dell'andirivieni del covid, l'idea che a vederli sembrasse di trovarsi in un duello sceneggiato e diretto da lassù dal grandissimo Sergio Leone era balenata nella mente degli astanti, ma il luogo astruso, eterogeneamente paradisiaco, avrebbe spento gli istinti assassini anche a Jack lo squartatore.
gli corse incontro Argo, che richiamato dai fischi del padrone andava avanti e indietro percorrendo alla fine otto volte la distanza che li separava dalla casa, forse di più perché quando le signore si fermavano attratte da un'orchidea, dal richiamo di un nido o un profumo gli girava intorno più volte scodinzolando e sfiorando la manina della bimba riuscendo a scappare prima che lei riuscisse a prenderla.
nonostante fosse il più anziano e stanco del gruppo, Primo faceva da capofila.
sudato e ansante per il carico di salumi, formaggi, pasta, caffè e prelibatezze nostrane sulle spalle compreso tutto il necessario per preparare una torta abbastanza grande da contenere cinquanta candeline e una tenda canadese nel caso qualcuno volesse concedersi il lusso di una dormita sotto le stelle o sentisse il bisogno di appartarsi.
il cielo terso si stava stellando, ma nel suo c'erano ancora nubi di passaggio, preoccupazioni, sedimenti e scorie lasciati dai traumi emotivi dell'autunno e dell'inverno passato.
restava ancora qualcosa da rivelare e anche se non spettava a lui farlo era preoccupato nonostante facesse e avrebbe fatto di tutto per evitare di farlo pesare o anche solo sospettare.
la vita fa enormi giri che tornano spesso al punto di partenza, guardandosi intorno, tutto gli faceva pensare che era partito per chiuderne uno e invece se ne stava per aprire un altro.
nell'aia rischiarata dal fuoco del braciere nessuno vedeva gli occhi lucidi e arrossati delle ombre che entravano e uscivano dall'alone di luce, che solo con un drone si sarebbe potuto notare, con i passi timidi e incerti di un elefante consapevole di trovarsi in un negozio di cristalli.
ci pensò Argo a rompere il ghiaccio con un ululato rivolto in alto nel punto preciso in cui da dietro il bosco stava spuntando un piccolissimo spicchio di luna.
'sei proprio un bastardo' gli disse la voce del padrone 'neanche la luna sai riconoscere' e quando le risate un po' tese e un po' liberatrici stavano per finire 'ok, adesso mangiamo che con la pancia piena si ragiona e si parla meglio'.
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